L’uomo del Castello   (da una storia vera)  

 

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Da ragazzo trascorrevo le vacanze in una casa affacciata su un piccolo torrente, che in quel punto spiccava gli ultimi salti tra le rocce prima di andare a finire nel mare, un centinaio di metri più avanti .

Dalle finestre si vedeva una bella fontana dalle linee curveggianti, ricavata in uno slargo della via e alimentata dalle acque del rio, con una nicchia dov’era collocata una madonnina in terracotta dipinta.

Ogni giorno, più o meno alla stessa ora, giungeva a questa fonte un povero viandante che, deposte le proprie cose, si lavava e si sistemava con cura, riempiva d’acqua la sua borraccia per poi tornarsene sui suoi passi, senza dare alcun fastidio e senza parlare con nessuno.

Poteva avere quasi sessant’anni e anche se vestiva come un mendicante, aveva un modo di fare dignitoso e riservato, con la barba brizzolata e gli occhialini che gli davano un’aria da persona colta e perbene, così da suscitare una certa curiosità.

Un giorno mia madre lo chiamò dalla finestra e gli chiese se desiderava qualcosa da mangiare. Gli preparò del pane con dell’altro e mi fece correre giù alla fontana a portarglielo.

Lo prese senza dire nulla tenendo gli occhi bassi, come per scusarsi di non poter ricambiare, e da quella volta la cosa si ripeté spesso, tanto che al solito orario  restavamo alla finestra aspettando il suo arrivo per dargli qualcosa.

Passava il tempo e l’uomo diventava più affabile. Alzava lo sguardo, diceva qualche parola per ringraziare, salutava sorridendo. Quando un  giorno lo invitammo su in casa, si rivelò come una persona discreta e sensibile, dal carattere mite . Ci raccontò che viveva su al Castello, da solo nei ruderi abbandonati della vecchia torre, e che tirava avanti grazie al buon cuore della gente del paese, che gli dava il necessario per mangiare e vestirsi.

Tempo dopo ricambiammo per così dire la visita. Fummo noi che andammo a trovarlo alla vecchia torre di guardia sul mare, lassù in cima al promontorio, io insieme con la mia famiglia.

Ci accolse nello spazio aperto dominato dalla netta sagoma del Castello, tra i ruderi antichi e gli ulivi secolari, e restammo a parlare a lungo in quell’affascinante ambiente naturale da cui lo sguardo poteva spaziare all’infinito sul mare e sulla costa.

Nei tempi a venire, allorché tornavamo per le vacanze, il fatto di portargli ogni volta qualcosa era diventata una normale abitudine: generi alimentari, qualche indumento e soprattutto giornali, poiché trascorreva parecchio del suo  tempo leggendo, per tenersi al corrente su tutto ciò che succedeva nel mondo.

Si sdebitava a suo modo scrivendo ricette a base d’erbe medicinali, di molte delle quali conosceva le proprietà curative.

Per chi saliva in gita alla torre, era una figura oramai quasi famigliare, una sorta d’eremita che parlava della speranza in un mondo migliore, basato sulla pace e la fratellanza universale, sulla giustizia e l’uguaglianza sociale.

Verso questa persona nutrivo comprensione e stima ma anche un po’ d’invidia, per la sua vita libera a stretto contatto con la natura, senza condizionamenti né compromessi, anche se in realtà erano state le avversità di una vita sfortunata che l’avevano costretto suo malgrado ad estraniarsi dalla società.

I motivi che l' avevano spinto all'isolamento non erano comunque del tutto noti, giacché non parlava volentieri del suo passato .  Solo una volta accennò ad una grande delusione famigliare, forse in seguito ad una questione d'eredità...

Quell’ultimo inverno il freddo era stato assai più intenso del solito e un vento pungente aveva soffiato senza tregua sul promontorio, ma l'uomo non aveva abbandonato la sua dimora. L’ultima volta lo trovammo sofferente, ma sereno e con negli occhi la soddisfazione d'essere ancora lì accanto alla vecchia torre.

All’inizio dell’estate seguente di lui non c’era più traccia. Correva voce che l'avevano trovato ormai allo stremo, e grazie all’intervento del parroco del paese, era stato curato e portato in una casa di riposo, in un'imprecisata località dell’ entroterra.

Le mie ricerche negli anni successivi non ebbero esito. Forse era morto, ma dentro di me ho sempre sperato che, ristabilitosi,  fosse tornato alla sua vita solitaria in qualche altro luogo affacciato sul mare, in mezzo alla natura.

Da allora sono passati tanti anni, ma ogni volta che salgo alla vecchia torre, mentre la vista si perde sul mare fino all'orizzonte,  mi sembra di avvertire ancora la sua presenza, e che da un momento all’altro debba  comparire di nuovo... proprio lui... l’uomo del Castello...

 

blu oltremare

 

(inviataci via mail il 30 aprile 2006)

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