Varigotti visto da Evelina Christillin
 

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Evelina Christillin ci ha gentilmente inviato il suo "piccolo pensiero personale su Varigotti"  pubblicato nel libro:

"Il Ponente Savonese dalle Alpi al Mare"
Editore: Viennepierre
curato da Riolfo Merengo

   Il libro raccoglie i contributi e le testimonianze sul territorio a ponente e a  levante del capoluogo provinciale, attraverso sessantadue testimonianze di chi in quel territorio “ci è nato”, di “chi lo ama come turista, di chi vi ha impresso il segno del proprio lavoro”. Le località e i luoghi variano da Albenga a Celle Ligure, da Varigotti ad Alassio, da Castelvecchio a Castelbianco, da Noli a Balestrino, da Spotorno a Calice. Noti gli autori: da Antonio Ricci a Milena Milani, da Ombretta Fumagalli Carulli ad Alberto Beniscelli,  da Marco Sabatelli a Carlo Tagliafico, da Silvio Torre a Furio Ciciliot, da Evelina Christillin a Vincenzo Accame, da Domenico Astengo allo stesso Marengo.

 

    Vado a Varigotti da quando sono nata. E ci andava anche mia madre. E mia nonna. E la mia bisnonna. E ci va mia figlia. Sui nipoti non so, non ne ho ancora, ma scommetto che ci andranno pure loro. E’ dal lontano 1915 che la famiglia Terruzzi (con i discendenti Canale, Dogliotti, Christillin) governa l’antico borgo saraceno dall’alto del suo castelletto liberty arroccato sulla collina, con un masso incombente a guardia del giardino che sembra sempre lì lì per staccarsi e invece resiste agli anni, alla salsedine, al vento ed agli incendi. Comincia da quell’altura minacciosa e tuttavia consueta, direi quasi domestica, la storia di sei generazioni di liguri, lombardi, piemontesi e valdostani fusi in un crogiolo di accenti, di parentele e di storie bizzarre; la storia della nostra famiglia, appunto, nasce, vive, muore e si rinnova all’ombra dei limoni e delle buganville che da quasi cent’anni fanno da cornice a Villa Anna, meta e ritrovo di un secolo di estati sempre così uguali eppure così diverse. Anna era la bisnonna, una vecchina (almeno, io la ricordo così), dalla crocchia bianca e dalla figura minuta, che , appena sedicenne, parte sposa di un uomo avventuroso, Felice di nome e di fatto, che se la porta ad Aden, in Arabia, in cerca di fortuna. Siamo alla fine della Belle Epoque, il Novecento bussa alle porte con le avvisaglie delle tragedie e dei lutti di un secolo che sarebbe passato alla storia come il più sanguinoso di sempre; bisogna avere coraggio, tanto coraggio, per partire verso l’ignoto a sedici anni, senza altra certezza che quella di una fede al dito e della Fede in Dio. Anna, -orfana, ebrea, tenace e volitiva-  coraggio ne ha da vendere, e parte insieme al marito senza fare né storie né domande. Forse immagina cammelli, datteri e Lawrence d’Arabia, forse le Mille e una Notte lette di nascosto, forse solo una vita dura in un paese lontano e sconosciuto; sogna e vuole un legame, però, qualcosa di concreto che le lasci sì la fede, ma anche la speranza: la speranza, prima o poi, di tornare, e di tornare in un luogo rassicurante, accogliente e tutto suo. Intanto là, lontano, nel mar Rosso, mentre muore soavemente l’Ottocento, i figli nascono uno dopo l’altro, sette in tutto;  la prima, nel 1902, è mia nonna Evelina.

    1915, l’Italia entra in guerra, e a questo punto non si tratta più ne di fede né di speranza; bisogna tornare. Felice capisce, rientrando in una  Milano più grigia e intristita che mai, che c’è soltanto una via per ritrovare la speranza che Anna insegue già da anni, all’ombra delle palme e al sole del deserto: andare verso il mare e verso la luce, acquistare colori, luci e profumi per un domani migliore. Così appare Varigotti nella vita della famiglia reduce da lidi lontani per non andarsene mai più: come un approdo sereno, come la fine di un viaggio, come un obiettivo raggiunto.

    1924, si sposa mia nonna, nella parrocchia di San Lorenzo, e la famiglia comincia a crescere esponenzialmente con le terze e poi con le quarte, le quinte e le seste generazioni; nascono mia madre e i miei zii, i cugini sono così tanti che spesso non ricordiamo più tutti i loro nomi, le mogli spesso sono straniere, le bambinaie lo sono sempre; torniamo ogni anno per Sant’ Anna, il 26 di luglio, e Rosetta ci prepara le frappole col budino al cioccolato. Magia e rassicurazione eterna dei riti. Ci sono le albicocche, in giardino, e le fragole, e le pesche; i fichi non ancora, maturano a settembre. E poi pomodori, fagiolini, insalata e zucche gigantesche; a noi bambini di città non sembra vero. In fondo, vìcino al cancello che dà sulla strada del Pepe, la vasca dei pesci rossi e il lavatoio col sapone fatto in casa; gatti dappertutto, sono allergica, passo il tempo a starnutire. E poi LEI, la fonte dei maggiori divertimenti e delle più acerrime battaglie tra ragazzini improvvisamente trasformati in feroci samurai: la pista in discesa vertiginosa per la gara delle biglie, ovvero il canaletto di scolo dell’acqua piovana lungo i tornanti del viale di accesso alla villa. Adorni, Gimondi, Bitossi, Merckx; metà pallina colorata, metà dedicata alle figurine dei più noti ciclisti dell’epoca. Lotte all’ultimo sangue, appunto, per aggiudicarsi la biglia del migliore, del più forte, del più bello; a me tocca sempre Vito Taccone (i maschi hanno regolarmente la meglio!), un onesto gregario abruzzese piccolo e tosto che, sulla pista di Varigotti come nella vita, non vince mai. Quando lo incontro, trent’anni dopo, a Pescara, in occasione della partenza di un Giro d’Italia, dalla commozione gli butto le braccia al collo come se fosse un vecchio amico; ovviamente, lui non capisce perché. Poi gli parlo delle biglie, del mare di Liguria, di un borgo saraceno in mezzo ai fiori, e lui s’illumina ripercorrendo con la mente le tante Milano Sanremo che l’hanno visto passare proprio da lì; dolci ricordi, i suoi come i miei, ognuno per un sapore d’infanzia o di giovinezza ritrovato all’improvviso come in una madeleinette di proustiana memoria. I bagni Gallo, i polpi pescati con le mani, la gente assiepata sull’Aurelia, il passaggio a livello che scampanella alzandosi e abbassandosi a ogni treno che fila verso la Francia o verso Roma, il cinema all’aperto con quelle sedie di legno di una scomodità arcaica eppure irrinunciabile, la messa della domenica celebrata sulla piazza con una barca al posto dell’altare, la spiaggetta sotto la torre saracena, il rettilineo prima del porto di Finale, le case degli olandesi, la focaccia, le sfogliatelle dell’Enrica…i miei ricordi si fondono con quelli di Taccone e non capiamo più se stiamo parlando di una storia comune, di un’infanzia condivisa, di una medesima famiglia o, più semplicemente, di un posto magico che ci ha segnato il cuore, gli occhi e la mente; Varigotti, appunto.    

ec
 
                

     


Villa Terruzzi a inizio '900 vista dalla spiaggia


Villa Terruzzi oggi: 2007

 

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